Le Mantellate

Tanta canzone romana tradizionale viene spesso osteggiata a prescindere e le argomentazioni sono quasi sempre le stesse. Secondo una certa “critica”, i brani risulterebbero troppo autoreferenziali o addirittura romanocentrici. Come sapete, io ho dedicato tanto duro lavoro al recupero della nostra tradizione musicale e anche all’interno del mio sito ho voluto una sezione che le desse il giusto spazio (CLICCA QUI). Ebbene, quando mi trovo di fronte a considerazioni così superficiali, spesso rispondo raccontando la storia di “Le Mantellate”. Un brano che molti ritengono appartenere al repertorio popolare e che invece è stato scritto da due grandissimi artisti quali Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi.

L’INGANNO DELLE “CANZONI DELLA MALA”
“Le Mantellate” rientra in un progetto più ampio realizzato proprio da Giorgio Strehler, con la collaborazione di diversi musicisti italiani. Un progetto intitolato “Canzoni della Mala”, che puntava a raccontare il mondo criminale attraverso brani travestiti da musica popolare. Per realizzare le sue “Canzoni della Mala” Strehler decise dunque di scrivere in diversi dialetti, andando realizzare dei veri e propri falsi d’autore. In tal senso basti aggiungere che il regista inventò addirittura una genesi fittizia per i suoi pezzi: lasciò infatti intendere di essere entrato in possesso di vecchi manoscritti, contenenti antiche partiture.

MUSICA POPOLARE UNIVERSALE
“Le Mantellate” è una delle “Canzoni della Mala” più celebri in assoluto. Il brano mette in scena uno spaccato di vita ambientato dentro il celebre Carcere delle Mantellate: la sezione femminile di Regina Coeli, realizzata all’interno di un ex convento. Non è dunque casuale che la protagonista anonima del pezzo paragoni le celle carcerarie a quelle dei luoghi di culto. Non è dunque casuale che, al rintocco della campana, finisca col dire che “Cristo nun ce sta dentro a ‘ste mura”.

Ho avuto il piacere di cantare “Le Mantellate” in tante diverse occasioni (GUARDA IL VIDEO) e devo dire che continuo a trovarla semplicemente eccezionale. La ritengo infatti una canzone capace come poche altre di trasmette rabbia, rinuncia, sofferenza e persino amore. Detto ciò, io credo che il suo aspetto più straordinario consista nella sua capacità di ammutolire ogni critica preconfezionata. Questa infatti, lo ripeto, è una canzone romana al 100%, eppure l’hanno scritta un milanese ed un triestino. In più questa è una canzone sicuramente popolare e addirittura “di genere”, che però riesce a veicolare contenuti universali. Insomma, l’esatto opposto di un brano romanocentrico o autoreferenziale.